Questa settimana vi voglio parlare di uno dei più bei palazzi di Venezia, se non del mondo: la Ca’ D’Oro, ossia la casa d’oro.

 

Partiamo da fuori, come ancora la vediamo dopo secoli più o meno burrascosi per l’integrità dell’edificio.

Vi propongo questa immagine, quasi poetica, che ho ottenuto da un’antica cartolina presa ai mercatini, che per l’effetto notte in qualche modo mi riconduce a come dev’essere stata un tempo.

Il nome infatti deriva da casa d’oro, proprio perché in molte sue parti era ricoperta di oro. (La tesi derivi dalla famiglia Doro sembra abbandonata).

Ricordo inoltre che era anche dipinta… molti palazzi a Venezia erano affrescati anche dai massimi maestri dell’epoca.

La facciata fa bella mostra del gotico veneziano nel suo massimo splendore, forse secondo solo a Palazzo Ducale. Tuttavia siamo quasi agli inizi del ‘400, quindi ancora sotto all’influenza veneto-bizantina. Voi la percepite?

La graduale diminuzione – quasi matematica – degli spazi tra gli archi, dal basso verso l’alto, mi ricorda in qualche modo le proporzioni studiate da Ruskin nel Fondaco dei Turchi, (clicca per approfondire) bizantino, ma forse dico solo una sciocchezza.

L’aspetto, anche se asimmetrico; vuota a sinistra piena a destra, le conferisce una certa gradevolezza. (Ricordo che altri palazzi coevi a Venezia hanno questa asimmetria, in contrasto con i modelli bizantini a torrette laterali di cui ho già parlato).

Parteciparono alla costruzione di questo gioiello marmoreo architettonico, o ne furono responsabili in toto, anche i famosi costruttori/scultori Bon, padre e figlio, e grandi artisti dell’epoca.

Domani entriamo.

Ciao! 🙂🖐

 

Ci siamo! Eccoci dentro alla Ca’ D’Oro.

Non chiedetemi in quale dei piani nobili, perché già ammaliato dalla bellezza del porticato che dà sulla porta d’acqua, e con tutta quelle opere sparse in giro, ero partito con la testa.

 

Gli spazi sono aperti, gradevolissimi – chi non avrebbe voluto vivere in una casa del genere?! – e pensate che ho dovuto scurire l’immagine perché la luminosità era tale che non avreste visto nemmeno le pareti di lato.

Appesi a queste, molti quadri della famosa collezione della Galleria Giorgio Franchetti.

Dipinti, statue, bronzi, medaglie del Pisanello… ma qualcosa mi dice che come prima cosa correrete verso la luce; verso la terrazza da favola ornata come un tappeto orientale, e ammirerete rapiti lo spettacolo del Canal Grande.

Ma, ma…. soprattutto, a mio avviso, non vi scorderete per molto tempo di una delle cose più incredibili mai viste in una casa privata, se così la vogliamo chiamare: una piccola galleria tutta di marmi sceltissimi, stupendi, che ospita nel suo punto centrale un unico solo dipinto, di un santo… qui rasentiamo il politeismo 😄 si scherza ovviamente. Ma per capire di che parlo, dovete aspettare il post di domani.

Ciao! 🖐🙂

P.S.: dover selezionare quale foto postare, dover descrivere questa ”cosa spettacolare” in soli 4 post, non è semplice. Non parliamo della vita di Giorgio Franchetti (barone torinese: un foresto 😉) che grazie al suo amore per Venezia ci ha permesso di godere di tanta bellezza… mi sono emozionato 😌

 

Ecco il dipinto che vi dicevo ieri: San Sebastiano del Mantegna.

Fu acquistato da Giorgio Franchetti per la sua prestigiosa collezione, poi, ricordo, interamente donata.

Ha voluto dedicargli un posto d’eccezione in quella che in molti chiamano la Cappella Mantegna. Sì, la fece costruire nel palazzo proprio per il quadro.

Ognuno è libero di interpretare a modo suo il risultato, che a me pare unico e straordinario. E se osservate bene, noterete che Mantegna stesso inserì il Santo all’interno di una cornice marmorea.

(Dico la mia: rimuovere una grande tela di Tintoretto dalla sua location originale – quando ancora esistente – è un retato al buon gusto in primis, poiché il maestro pensava in grande creando vere installazioni in sinergia con l’ambiente, ma in questo caso trattandosi di un dipinto unico…)

Che altro dire davanti a una simile opera?

Fu ritrovata nello studio, dopo la sua morte (del Mantegna) nel 1506.
C’è un’ampia documentazione scritta che ne parla e ne segue i passaggi, tra cui il veneziano Pietro Bembo, che ricordo: fu uno dei fautori/creatori della lingua italiana (clicca per approfondire) . Infine venne acquistata dal Barone Franchetti.

Ci sono altre tele con lo stesso soggetto, non ricordo se due o tre, esibite nei più prestigiosi musei del mondo (Vienna e Louvre).
Questa è un po’ diversa: dolore, sofferenza vera ed è anche un po’ ”strana”… e non capisco se San Sebastiano è in movimento o sferzato dal vento 🤔

Domani scendiamo nel portico.

Ciao! 🖐🙂

Il cortile… il porticato… la porta d’acqua…
quale foto mostrarvi che dia ragione a tanta bellezza?

Che tortura… 😅

Dopo una buona ventina di minuti, ho scelto di proporvi questa immagine, che è un ingrandimento.
Il motivo?
Pozzo, scala e mosaici; 3 elementi che mi danno occasione di ricordare Giorgio Franchetti, il mecenate che ci ha lasciato tutto questo.

Partiamo da una curiosità (un po’ di gossip) che ho scoperto leggendo di qua e di là sui miei libri.
Tra le tante che ne ha passate il palazzo, vi fu un intervento scellerato di ristrutturazione che lo smembrò in molte sue parti (architetto Meduna), facendo sparire sia la scala che la vera del pozzo (vedi foto) e molto altro.
La curiosità, che mi ha divertito, è che all’epoca il palazzo fu regalato – sì regalato – a una ballerina molto famosa a quei tempi: Maria Taglioni.
”Però, mica male!” Direte voi.
”E certo!” Dico io, ma oltre alla Ca’ D’Oro, vari spasimanti le avevano regalato (non offerto) altri 4 palazzi sul Canal Grande, e mica roba da poco! Costruzioni notevoli, che andavano dal romanico-veneto-bizantino al barocco.

Penso che nemmeno il più ricco dei commercianti patrizi sia mai arrivato a tanto.
Beh, la cosa mi ha fatto sorridere e nascere qualche considerazione sull’attualità del bel pensiero…

Giorgio Franchetti, con tenacia e amore, ”aveva trovato nella rinascita di Ca’ D’Oro una ragione di vita…” (Alvise Zorzi), riuscì a recuperare la vera di pozzo che vedete: un capolavoro di Bartolomeo Bon su ”marmo” Rosso Verona, e anche i pezzi della scala gotica sparsi un po’ ovunque tra antiquari e marmisti.

Terzo elemento: il mosaico.

Lo si trovava prono con due scarpe legate alle ginocchia a metter giù le tessere del mosaico che doveva ricordare quelli di San Marco, spesso obbligando gli amici a dargli una mano.

Sto parafrasando quanto scrisse uno di questi amici: D’Annunzio, che spesso lo andava a trovare obbligato a lavorare come lui.

Gran parte dei mosaici di tutto il porticato furono progettati e persino realizzati manualmente dal Barone, attento e litigioso sul reperimento dei materiali.

Le sue ceneri riposano sotto a un cippo funereo; una colonna di porfido tronca inserita su questo meraviglioso mosaico da favola orientale.

Vi lascio al panorama dalla terrazza.

Ciao! 🖐🙂