Chi sono

biografia

 

Sono nato nel 1970 nella verde provincia veneta tra la Valpolicella e il Lago di Garda.

Ora vivo a un’ora di auto dal capoluogo Venezia, dove opero come ditta individuale: Branchie. Produco e seleziono nuove varietà di pesci e crostacei ornamentali tropicali per la grande distribuzione.

Quasi tutto il mio tempo libero lo passo a Venezia, in laguna, oppure immerso nella mia biblioteca ad essa dedicata. Scrivo la notte o poco prima dell’alba, dipende dall’insonnia.

Sono Dottore Naturalista e perito industriale, ho qualche specializzazione in biologia, gran parte della mia tesi sperimentale sui Protocordati,  (i nostri antenati dei mari?), è stata pubblicata su riviste scientifiche internazionali, in cui sono onorato di essere coautore.

In seguito, ho affrontato gli studi di Biologia Molecolare-Biomedicina mentre lavoravo come Complaint Manager (gestione reclami) per una holding farmaceutica, anche in questo caso, punto di arrivo dopo un’intensa gavetta iniziata come facchino interinale. Alla seconda laurea in Biologia Molecolare mi sono fermato a venticinque esami, per dar spazio al mio sogno professionale creando la ditta Branchie.

Le storie che pubblico, sempre accompagnate da suspense,  portano tracce evidenti di questa formazione scientifica, per questo troverai alcuni miei libri tra i thriller biomedici.

Perché scrivo su Venezia?

Amore… e un pizzico di vanità.

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Articolo del 25 settembre 2019 dal giornale L’Arena.

(Clicca per il pdf)

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Se vuoi che leggano i tuoi libri, ci devi mettere la faccia!”

Questo è il consiglio, quasi un imperativo, che mi hanno dato in molti e che si trova citato un po’ dappertutto dove si parla di scrittori (aspiranti).

Sì, lo capisco, anch’io quando leggo un libro cerco poi di sapere qualcosa sull’autore, specie se m’è piaciuto, ma ora mi ritrovo dall’altra parte e ho già una vita mia con tanto di famiglia e una professione costruiti in luoghi dove nessuno prima mi conosceva, voglio dire; non cerco per forza la popolarità.

Alla fine, a me preme soltanto parlare della ”mia Venezia” a persone interessate, possibilmente coinvolgendole, senza dover più scocciare parenti e amici coi miei interminabili discorsi.

Detto ciò, perdonate questa biografia sui generis.

Sono nato nel ’70, al calar delle prime nebbie sulla provincia veronese, in pieno miracolo economico, se di miracolo parliamo. La ”fabricheta” vicino casa dove lavorava papà in pochi anni passò da alcune decine di dipendenti a migliaia di lavoratori.

C’era talmente sovrabbondanza di lavoro che molti se lo portavano a casa, facendo sgobbare negli angusti seminterrati e nei garage condominiali, casalinghe, nonnine e zie; gli uomini generalmente andavano all’osteria.

Ricordo però che a scuola, alle elementari, non facevano altro che parlare del famoso triangolo industriale che abbracciava ben tre regioni, dove tutti lavoravano, ma che a noi, veneti, nemmeno ci considerava; il cambiamento (sconvolgimento) economico nella provincia era in atto ormai da anni, le corti rurali si erano spopolate e già da un pezzo erano scomparsi i filò, (le fiabe e le storie tramandate che si raccontavano di sera nelle stalle), per non parlare della considerazione per i due grandi fiumi ammantati di storia, leggenda e tradizione popolare, divenuti quasi un ostacolo al progresso e al benessere economico, una seccatura… Ma a pochi interessava cosa stesse realmente succedendo, men che meno ai veneti.

Ancora oggi, dopo diversi lustri, chi percorre in treno l’asse Milano-Venezia non può che rimanere sorpreso dalla quantità abnorme di fabbriche disseminate nella campagna tra Verona e Padova; i capannoni.

Nei primi anni ’80, andare al lavoro finite le scuole medie era la normalità e molti nemmeno le portavano a termine. Ma compiuti i sedici anni, tanti potevano girare col portafoglio gonfio, la moto nuova, (il famoso 125cc o la vespa), e disporre di bei soldini da spendere sulla Riviera Romagnola o nelle blasonate località alpine invernali, oppure in mirabolanti viaggi in situ grazie ad eroina et similia, (quasi una piaga sociale radicata nei posti dove ho vissuto).

Nemmeno cinque lustri e una regione stupenda, (arte, storia, cultura, mare, fiumi, laghi, Dolomiti… continuo?) a vocazione prettamente agricola dal potenziale turistico-culturale ragguardevole già riconosciutole secoli prima, (ricordo che Shakespeare ci ambientò ben 5 grandi opere), si trovò con le campagne disseminate di capannoni di cemento armato spuntati letteralmente come funghi tra viti, pievi romaniche e ville veneziane secolari, molte di queste, a tutt’oggi, in totale stato d’abbandono.

Io?

Io stavo nel mezzo, da una parte attratto da questo dio sulla bocca di tutti: el scheo, di cui desideravo essere un adepto, (potrei scrivere pagine commoventi su quanto abbia anelato la mia prima moto a sedici anni), dall’altra, la certezza che la vita potesse offrire anche qualcosa di differente. (Avevo già letto i lavori di Orwell, di Pirandello, di Poe e i romanzi di King. Mi ero anche cimentato con un libricino trovato in soffitta, lasciato da mia sorella o forse da mio fratello già andati via di casa, ma non ero pronto; Antologia di Spoon River. Inutile dire che le letture scolastiche, tolta qualche eccezione, fino a quel momento mi lasciarono abbastanza indifferente).

Per i veneti, e anche non, che volessero leggere qualcosa di diverso sul ”miracolo del Nord-Est”, menziono con affetto le ”antologie” di G.A. (Toni) Cibotto, raccolte di articoli di tre pagine dedicati alla società veneta di quegli anni, ricchi di riferimenti a letterati e scrittori a volte fuori dalla mia portata di umile lettore, ma nel contempo sottili, ironici e di facile lettura.

Proprio in un libro, edito nel 1989, Cibotto mette in copertina la carta da briscola con l’asso di denari, simbolo della nuova divinità a cui un popolo ha sacrificato il giorno e la notte nell’inutile ricerca di una felicità che non esiste, per poi chiudere sulla quarta con un adagio nostrano:

De feliçe a ‘sto mondo ghe ne xe sta soltanto uno: ma el gera mato e senza camisa.

Finite le scuole medie, i miei genitori hanno insistito col farmi studiare, nonostante non fossi così brillante, ma sempre costringendomi a lavorare almeno durante l’estate, giusto per non perdere il vizio.

Poi, appena diplomato: il servizio di leva (l’attesa per il corso ufficiali di complemento fu vana), alcuni anni di studio e lavoretti, e la laurea a Padova (la nostra Cambridge), proprio nella facoltà dove insegnava Galileo Galilei, con loro due in lacrime alla lettura del mio proclama di dottore.

Si sa, l’Italia non è uno stato particolarmente attento alla meritocrazia, per cui dopo alcuni anni di lavoro, constatato che sarei rimasto precario a vita superato dall’ennesimo raccomandato di turno, mi sono creato un’attività tutta mia partendo dal nulla, anzi, dal seminterrato condominiale, proprio come i ”paroni” di mio papà cinquant’anni prima.

Solo che nel frattempo le cose in Italia per i piccoli imprenditori sono molto cambiate, e se già nutrivo dei dubbi, ho smesso del tutto di credere a quel dio dal nome che suona così forte e autoritario: SCHÈO!, per cui in questi ultimi anni, aldilà della famiglia, mi sono concesso tutto quello che desideravo; il teatro, i libri, la musica, l’arte e soprattutto Venezia, impegnandomi nel lavoro quanto basta per sopravvivere dignitosamente.

Premesso che è grazie al forsennato lavoro dei nostri genitori se godiamo di un certo benessere, noto che el schèo, almeno in provincia, continua ad avere molti convinti seguaci che tendono a identificare il prossimo non per ciò che è, ma per ciò che possiede; molto avvilente per un ”laico” come il sottoscritto.

Con questo, non biasimo chi dedica l’intera esistenza rincorrendo la felicità facendo e/o sperperando denaro, anzi, concordo con uno scrittore che parla il mio dialetto, ora divenuto personaggio pubblico, nell’asserire che ognuno deve riempire il vuoto che si porta dentro come meglio crede…

certo però, che qualche buon libro, in molte case non farebbe poi tanto male, e diffidate di chi vi giura di tenere solo quelli elettronici, magari senza averglielo chiesto; un vecchio catalogo di Marsilio o la piccola guida di una pieve che vi ha incantati, per non parlare della magia di un libretto di Edgar Lee Masters scoperto in soffitta a tredici anni e tuttora impenetrabile, ancora non esistono.

***

Ah, io non chiederei d’essere un gabbiano né un delfino; mi accontenterei d’essere uno scorfano – ch’è il pesce più brutto del mare – pur di ritrovarmi laggiù, a scherzare in quell’acqua.

Elsa Morante

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Andrea Perin,

lo scrittore della laguna

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Il mio ultimo libro: AQUA ALTA - Pierrot