Un altro palazzo di Venezia

Lo so, vi ho promesso che vi avrei parlato di questo palazzo bizantino che fa bella mostra di sé sul Canal Grande… e lo farò, anche se la cosa non è banalissima.

Il primo inghippo, è che mi sono accorto che i miei riferimenti sull’estetica, ossia le osservazioni di John Ruskin, genio dell’arte, erano rivolte al palazzo antecedente alla sua ricostruzione. Questo ha complicato le cose.

Facciamo due conti.

John Ruskin visitò la nostra penisola in quello che ai tempi era considerato un vero viaggio iniziatico, tra il 1840 e il ’41. In genere durava nove mesi. Poi, di nuovo nel ’45.

Il grande restauro del palazzo è iniziato nel 1869 su progetto di Federico Berchet, che l’ha praticamente ricostruito da capo, aggiungendo persino le torrette laterali che gli conferiscono il curioso aspetto orientaleggiante.

Non ci credete?

Purtroppo molte immagini sono coperte da copyright, perciò posso mettervi solo le mie, che ovviamente non possono essere dell’800.

La cosa più semplice è aprire una pagina su google e cercare ”Fontego dei Turchi” su immagini.

Ne troverete alcune che lo mostrano completamente diverso da come è ora.

Dall’aspetto sembra più un casone di campagna, fatiscente, e si fatica davvero a capirne la struttura.
Davanti alla facciata, ci sono i resti di un muro e anche una o più case decadenti o meno, a seconda del periodo dell’immagine.

Qui vi propongo l’immagine di un dipinto tratta da WikiGallery.org.

Il palazzo è il primo a destra. Incredibile vero?

E le torri laterali? dove sono?
Adesso è tutto finto per farcelo sembrare orientaleggiante?

Forse servono un po’ di chiarimenti prima di parlarvi di cosa vi colse di bello il geniale Ruskin, ricordandovi che lui lo vide in totale decadenza, tuttavia cogliendone i magnifici aspetti strutturali.


Senza voler entrare nel difficile, dirò che lui riusciva in certe cose anche perché aveva una sua teoria sulla conservazione del bene artistico.

In pratica, giudicava l’opera d’arte per come si presentava, anche se consunta, decrepita, distrutta dal tempo.
Su wikipedia, nella sua biografia, trovate un breve capitolo che spiega in modo chiaro questo concetto molto… romantico.


Un po’ di storia

Il palazzo fu costruito intorno al 1220 per il console di Pesaro, Giacomo Palmieri.

Sarà lui che darà origine alla potentissima famiglia dei Pesaro, quelli del palazzo Ca’ Pesaro per capirsi, l’immenso edificio progettato dal Longhena sul Canal Grande, ora museo d’arte moderna, (ospita dipinti come Giuditta II di Klimt, giusto per informazione).

Il palazzo fu costruito, (da quel che ho capito), come lo vediamo ora, ossia con il parapetto sul tetto, il fitto colonnato, i gradini che scendono all’acqua, (ricordo che i palazzi veneziani erano magazzini, quindi serviva un comodo accesso al canale per scaricare le merci), e inoltre c’erano le torrette laterali.


Piccola parentesi.

In quei secoli, le galee, anche se enormi, entravano in Canal Grande. Se guardate qualche quadro antico, vedrete che prima del Ponte di Rialto in pietra, c’era un ponte di legno levatoio, ma solo al centro. Era per far passare gli alberi delle grandi galee. Poi i tempi cambiarono e le navi non poterono più entrare in Canal Grande.

Torniamo al nostro palazzo.

Alcune cronache, riferite all’acquisto da parte del governo sul finire del ‘300, narrano che al suo interno vi erano ricchezze incredibili; fontane e gradinate di marmi e pietre preziose, vasellami d’argento e d’oro.

Infatti, la Repubblica volle acquistarlo come sede di rappresentanza diplomatica, una sorta di foresteria di lusso, (come suggerisce Alvise Zorzi in ”Canal Grande” – Rizzoli), per impressionare gli ospiti, tra cui principi, re, papi, principesse e persino imperatori sia d’oriente che d’occidente!

Sembra anche che vi abbia soggiornato il divino cantore della Gerusalemme liberata, Torquato Tasso, nel 1560, quando iniziò la sua opera più famosa.

Vero… delle volte fu donato, inizialmente ad esempio al marchese di Ferrara Niccolò D’Este, ma i venti di guerra che soffiavano sulla complicatissima scacchiera italica cambiavano spesso direzione, quindi appena si presentò l’occasione; se lo ripresero!

Procediamo speditamente tra i secoli e arriviamo al suo nome.

Fontego o fondaco significa magazzino, ma perché dei Turchi?

La Repubblica lo acquistò, (sì, una seconda volta, o forse o se lo riprese… bo!? …scherzo ovviamente), e ne fece un posto dove ospitare i mercanti turchi.

Non tutti erano turchi, si trattava anche di commercianti provenienti da altri paesi di religione islamica, come Albanesi e Bosniaci.
Vi furono allestiti molti magazzini, camere, lavatoi e servizi vari. Da qualche parte ho letto che c’era persino un locale adibito a preghiera, (una prima moschea in occidente?)

Ovviamente i veneziani con questa operazione vollero tenere sotto controllo la presenza islamica nella metropoli.

Una cosa simile era stata fatta per i mercanti ”tedeschi” e stava funzionando bene.
C’erano delle severe regole da rispettare, come l’ora di rientro, l’accesso alle donne proibito, ecc.

Va detto che i ”turchi” non erano ben visti dalla popolazione, e spesso erano additati col pregiudizio di molti luoghi comuni.
Va detto anche, che i veneziani si trovavano in casa membri di uno stato che spesso entrava in guerra proprio con chi li ospitava, ne saccheggiava le colonie e ne conquistava i territori. Insomma… amore (commercio) e odio.

Ed è proprio per questi motivi che il nostro bel palazzo, acquista le sembianze di quella specie di rustico fatiscente, lo stesso che poi vide John Ruskin.

La facciata venne coperta da un imponente muro lasciando solo un portone centrale per far passare le merci. Vi furono pure costruite delle casette davanti e le torri laterali vennero abbattute!

Lo stravolgimento avvenne a seguito del decreto della Repubblica il 27 maggio 1627, (come riporta Giuseppe Tassini in Curiosità Veneziane – Filippi Editore Venezia).

Tutto questo perché non si volevano mescolanze con lo abitazioni vicine.
In quanto all’abbattimento delle torri, si dice perché ostentavano opulenza e non era il caso, considerata l’estrazione sociale degli ospiti turchi, ma probabilmente era per impedire che potessero osservare la città-mito dall’alto.

Inutile dire, (così va il mondo), che la categoria ”turchi” con credenziali economiche importanti o diplomatiche, non dormiva affatto al fondaco.

Coi secoli il palazzo si deteriorò ulteriormente, passò varie proprietà, ma sempre con i ”turchi” al suo interno, e alla fine venne acquistato dal comune nel 1860, (periodo austriaco).

Da qui si torna al famoso imponete restauro di cui ho parlato all’inizio.
Oggi ospita la sede del Museo di Storia Naturale.

Altra curiosità, in un libro dell’800 si menziona Saddorisdi come ultimo turco ancora presente, che dovette essere cacciato in malomodo perché non voleva andarsene.

Incuriosito ho cercato on-line ma senza risultati. Poi in un altro libro, sempre della mia modestissima biblioteca dedicata a Venezia, l’ho trovato menzionato come Saddo Drisdi.

Ho googlato il nuovo nome, ed ho scoperto che lo scrittore Alberto Toso Fei gli ha dedicato un libro, precisamente un fumetto… ops, una graphic novel, proprio a lui, Saddo, un vero personaggio racconta-storie.


Chiudo con un breve accenno alle osservazioni di John Ruskin, riportate nella sua immensa opera, Le Pietre di Venezia, che difficilmente si trova in stampa sia integrale sia ben tradotta. Da tenere a mente tutto quello che ha passato questo palazzo.

Questo ”ragionamento” è tratto dal capitolo dedicato ai palazzi bizantini.

Gli archi inferiori, a causa della presenza di quelli piccoli laterali, al fine di creare un effetto gradevole, sono disposti con una graduale cadenza dal centro verso i lati aumentando il ritmo.
Negli archi del piano superiore, che sono 26, ma non sono uguali, i 4 più stretti sono posti in corrispondenza dei tre del colonnato inferiore, mentre i 18 più ampi, (parliamo della parte centrale), in corrispondenza dei sottostanti dieci.

In questo modo, si danno alle colonne funzioni spaziali diverse creando secondo Ruskin una sorta di confusione ”voluta”.

Il risultato è che risulta arduo contare le colonne superiori; ”si confonde l’occhio che tenta di farne il conto’‘, confusione poi risolta con maestria bizantina nelle torrette laterali.


Che dire, che siate in taxi o in vaporetto la prossima volta che vi passerete davanti, provate a contarle ‘ste colonne.

Se non ci riuscirete, forse troverete sollievo nelle torrette laterali, o magari nel cogliere la raffinatezza compositiva del suo insieme.

Bene, ho scritto abbastanza. Spero di avervi piacevolmente intrattenuto.

Alla prossima storia.


Chi è interessato può leggere un mio post su un altro palazzo; Ca’ Dario. Basta cercare nel blog.


Fonti.

Chi legge i miei articoli, sa che non uso monografie o peggio copia-incolla.

Per scrivere questo post in cui ho inanellato diverse informazioni, mi sono servito di vari libri e del web.
Chi fosse interessato alla bibliografia, anche su singole notizie, mi può scrivere qui sotto o privatamente.