LA PORTANTE DI VENEZIA-Personae

 

 

Da dove nasce il titolo di questo romanzo?
E che cosa significa?

Pochi giorni fa, ho ricevuto il primo rendiconto annuale dell’editore con cui ho pubblicato LA PORTANTE DI VENEZIA – Personae.
Non sto a parlar di numeri, ci mancherebbe, piuttosto colgo l’occasione per ringraziare chi lo ha acquistato e magari anche letto.

Con tenerezza, ho preso in mano e sfogliato la copia campione che avevo ricevuto poco più di un anno fa; 250 pagine di carta patinata d’ottima qualità, fitte di parole ma vivacizzate da qualche foto a colori di miei disegni.

Ripenso a quanta passione ci ho messo dentro, concatenando quattro narrazioni, già non banali, per farle gravitare attorno ad un’unica attrazione: l’anima di Venezia.

Ripenso all’ingenuità di alcune scelte, agli errori di battitura, all’incapacità di calarmi nella parte di chi legge. Forse, allettato dalla vanagloria di aver scritto qualcosa di difficile, denso di concetti, alcuni forse anche nuovi, nel modo più semplice che mi era possibile.

Lo so, ora potrei in soli cinque minuti levare alcuni errori, almeno all’e-book, oppure far eseguire una correzione, persino una revisione per una seconda edizione del libro, ma forse, non è poi così importante, almeno per ora.

Non so come spiegarlo, so che sembra autolesionismo, ma semplicemente non mi va di farlo. Spero che alcuni di voi non si sentano offesi per questo.

A mia discolpa posso dire che, ad esempio, i racconti di una delle quattro voci, MIO PADRE,  sono molto piaciuti, e non rappresentano altro che dei semplici estratti del libro.
Il lettore che procede fluido, coinvolto e impegnato nel cogliere le tessiture, non sta lì a cercar errori.

Alcuni il romanzo l’hanno capito compiutamente, la sorte, (beffarda), ha voluto tutti e tre i miei lettori beta, ossia quelli scelti come campione, altri, un po’ meno. C’est la vie!

Ma torniamo al titolo.

Più di una volta, mi sono state chieste spiegazioni sul significato, criptico, impenetrabile secondo alcuni.

Così mi sono chiesto; può essere che a certi lettori la confusione inizi ancor prima che dalla prima pagina, e cioè dal titolo?

Beh, la cosa più semplice che mi venga in mente, è quella di proporvi l’estratto da cui trae origine il titolo del libro. A voi il giudizio.

Il protagonista in MONIKA, una delle quattro voci narranti del romanzo, cerca di spiegare alla compagna, l’origine e il senso di alcune sue percezioni correlate a Venezia, servendosi della Teoria della Relatività, illustrandola in modo semplice e chiaro, (spero). Estratto da pagina 181.

Buona lettura.

 

*****

Monika
Relatività

Apro gli occhi. Sono sul divano del monolocale sopra al laboratorio in Giudecca.
Mi alzo, infreddolito. Guardo fuori: nebbia!
Si sente la sirena di una nave, pochi secondi e ne appare la prua, immensa, sembra un’isola, non so se mediamente più alta dell’isola dove sono, ma sicuramente in una giornata di sole le farebbe ombra.
Di nuovo un colpo di sirena, grave, ripetuto, nella nebbia. Un po’ mi affascina ma anche mi mette una certa ansia vedere una nave cisterna di queste dimensioni in laguna.

Apro il telefono; qualche messaggio, due telefonate, apro il block notes e mi segno: vedere grosse navi cisterna in laguna!!
C’è un messaggio di Monika: ti aspetto per le nove all’H-Bar! Preparati il discorso!
Bene, tempo per una doccia.

Mi rado, mi lavo, mi vesto un po’ pesante. Scendo di sotto, faccio per salutare Mario ed Antonia, ma sono alle prese con una grossa cornice in mano. Li lascio stare. Esco.

Eccola là; splendida creatura nella nebbia.
Sta seduta a bersi il cappuccino, tutta vestita di nero, o forse blu scuro. L’amico cameriere; il Bepi, mi vede arrivare, sistema la sedia asciugandola dall’umidità, si gira ed accende il fungo a gas, poi alza le mani: “La signora Monika lo voleva spento!”.

“La signora Monika non sente mai il freddo… e nemmeno il bagnato!”, gli rispondo, cercando di farmi guardare da Monika, intenta a leggere una rivista, “Caffè doppio, espresso, grazie”.
“Comandi!”, sparisce.

Monika si allunga e mi bacia distrattamente, mi fa vedere la copertina della rivista; parla di alchimia nella pittura.
Allunga le gambe, appoggia la testa al margine dello schienale di ferro, fa la nuvoletta di condensa;
“Vai!”

La guardo; veste un lungo soprabito che lascia vedere parte delle cosce, subito coperte dai lunghi stivali neri scamosciati. Indossa guanti neri ed un cappello di pelliccia, sempre nero. In pratica, l’unica parte scoperta che si vede è il breve tratto di cosce e parte del viso, dagli occhi alla bocca. Questa, è ornata da un rossetto viola acceso [finalmente!].
Tra gli zigomi sporgenti; il naso lungo e perfetto affonda nella linea mediana degli occhi. Oggi grigi, più che mai, con delle sfumature blu; le stesse che a volte si vedono sulla parte viva degli iceberg appena staccatesi dal pack… o viceversa.
Certe volte penso che sono talmente attratto e costantemente eccitato; da temere che la parte sentimentale del nostro legame ne sia lesa o forse annientata. Come se l’adorazione quasi carnale per la mia dea oscurasse tutti gli altri sentimenti.

“Ok Monika… prima una cosa però!”
“Concesso!”
“Non credi che la forte attrazione fisica, di questa nostra fase, rischi di oscurare la parte sentimentale del nostro rapporto?”.

Con uno slancio si alza in piedi, si sistema il soprabito, si risiede con la schiena dritta, come dovesse affrontare un’importante conversazione di lavoro.

“Vedova nera? Mantide? Dea amante?”. Mi accarezza il viso col guanto di pelle nera; “Io mi ci ritrovo, e mi piace pure, penso che in questo siamo intimamente complementari, che male c’è?”.
“Beh, temo…”
“Non temere niente, sono solo fantasie… penso che non sarà così per sempre… magari!? Godiamocela fin che dura.”
“Hai ragione… che stupido!”
Poi si fa seria: “Ri-vai!”.
Chiamo con un cenno il cameriere che ci osserva dietro il vetro della porta, Monika paga. Finisco l’espresso, ci prendiamo a braccetto e camminiamo lungo la fondamenta.

“Conosci le teorie di Albert Einstein? Cioè, intendo, gli studi?”
“E uguale a emme ci quadro?”
“No, no solo quello, parlo del concetto di relatività…”
“…ma non è quella la relatività?!”
“Sì e no. Ti spiego…”
“Sì, ma alla tua maniera, ti prego!”.
Monika se la cava bene quasi in tutto, ma non eccelle in materie scientifiche.
“In fisica, sono sempre esistiti dei concetti assoluti…”
“Tipo?!”
“Lasciami continuare… ad esempio, la distanza: quella è, e mica si tocca. Mi spiego; un metro lo è qua, come ora potrebbe esserlo a Parigi. Domani, o tra un secolo, sarà lo stessa cosa. Ci sei?”
“Sì!”
“Bene! A noi interessa più il tempo. Il tempo è sempre stato considerato una grandezza, un valore assoluto. Un secondo qui…”
“…lo è anche a Parigi!”
“Bravissima! Vedo che ci siamo. In fisica è sempre stato così; la fisica galileiana per capirsi. Poi è arrivato Alberto che ha detto, ”non è vero che tutto è così assoluto” …per cui sarà? Sarà? Sarà-aa?!”
“Ti sei incantato?!”
“Lo sto chiedendo a te! Sarà?… Sarà relativo!”.
Monika annuisce; “Ecco perché relatività…”
“Beh, sì, immagino sia per questo… comunque, si parla di relatività tra sistemi. Ad esempio, tra due sistemi diversi il trascorrere del tempo potrebbe essere diverso…”
“Ma centra con …come cavolo la chiamate voi?… La pulsazione?”. Scuoto la testa: “Impossibile da spiegare… ma ci si può avvicinare, almeno un pochino, con l’idea”.

Sospiro, poi inizio:
“Sei in stazione, tu hai un grosso orologio con le lancette, enormi, ok?”
“Sì! Procedi!”
“Bene. Ora passa un treno, le porte sono aperte e sopra ha un orologio enorme, come il tuo in stazione, ok?”
“Sì! Procedi!”

(Nel frattempo siamo arrivati ai piedi della Chiesa del SS. Redentore. D’istinto, alziamo tutti e due la testa; inconscio segno d’ammirazione a tanta grandezza).

“Bene! Ora guarda le grande lancetta dei secondi sul treno. Se passa molto veloce, ad ogni secondo che segnerà, sul tuo grande orologio ne corrisponderà uno un po’ più breve. Ci sei?”
“No! Fermati!”
“L’immagine della lancetta che tu vedi quando il treno si allontana, ci deve mettere un pochino per arrivare alla tua retina, giusto? Quindi per forza si muoverà più lenta rispetto la tua.”
“Giusto! Quindi più va veloce…”, Monika si blocca.
“Tu Monika, devi immaginare che l’orologio sul treno sia enorme da vederlo idealmente sempre, anche se questo si allontana velocemente.”
“Ok! Quindi il treno si allontana e l’immagine ci mette di più ad arrivare, quindi vedo la lancetta battere il secondo più lentamente. Ci sono”. Sorride e mi bacia prendendomi il viso tra le mani.
“Bene, e se andasse veloce come l’immagine che arriva?”
“Vedrei la lancetta ferma!”, fa l’occhiolino e si tocca la punta del naso con la lingua; come avesse detto qualcosa di eccitante.
“Ma!? Ma ti stai eccitando Monika?”
“Che stupido!”, poi ride: “Non so… forse un pochino. La consideravo una cosa così difficile quando l’ho studiata, avevo dovuto impararla a memoria. Ora spiegata da te… sei un grande! Con due parole… e poi, la risposta è sì! Sai che noi donne ci eccitiamo col cervello!”.
Scuoto la testa. [Sì… col cervello!?].
“Vai!”
“Poniamo che sei uno fuori di testa, e che ogni tanto è come se vedessi passare questo treno. A volte è velocissimo a volte più lento… e se fosse più veloce dell’immagine che ti arriva?”
Monika mi guarda perplessa: “Lo chiedi a me?”
“Le lancette idealmente andrebbero indietro, giusto?”
“No! Non ci sono, ora.”
[Più semplice, uomo!]: “Prendi la tua gemella, la metti sul treno, si fa un giro velocissima, se tu vedi le lancette muoversi più lente vuole dire che anche per lei il tempo passerà…”.
Monika mi da uno strattone quasi da farmi cadere.
“Ringiovanisce! Va indietro nel tempo!”
“Sì, giusto, rispetto a te. Ma per lei il tempo è trascorso normalmente!”
“Very very cool!”
“Infatti; in alcuni film di fantascienza dove vanno velocissimi con le loro astronavi, tornano indietro col tempo…”
“Fantascienza, ok? Ma è applicata?”
“Certo. Ci mancherebbe! Mi sembra ci sia qualche piccola eccezione a livello sub-atomico…”, faccio spallucce, “…ma non mi interessa approfondire così tanto l’argomento”.
“Quindi?”

“Io, ogni tanto, vedo questo treno passare… [con un carico speciale]. Non so se sia lento, veloce, se sogno o altro. Una specie di percezione…”
“Sì, ma la portante? Che cosa ha a che fare?”
“Si tratta un po’ della banalizzazione di quello che mi succede… come se per trovarmi in quella stazione per vedere quel treno, mi dovessi allontanare come pulsando… qui è veramente difficile da spiegare. Senti una frequenza, parte da uno stato emotivo, quasi di gusto per il bello… estetica, ecco sì; estetica!”
“Estetica?!”
“Sì, anche! Almeno per me. Poi percepisco di trovarmi nella nostra stazione. Tutto; le pensiline, i gradini, i passeggeri, i vagoni parcheggiati, tutto soggiace a questa pulsazione.
“Santa Lucia… la stazione!”, esclama Monika, annuendo profondamente!
La guardo. Ora sono io a prenderle il viso tra le mani; la bacio.
Poi sorrido.

Quando se ne usciva con affermazioni così azzardate, quasi ingenue, ma che a volte celavano una possibile interpretazione molto profonda, perdeva l’espressione austera, lontana, quasi staccata, tipica di molte donne della sua bellezza, ridiventando bambina.

“Hai proprio ragione Monika!”.
Guardo verso il Bacino San Marco:
“La portante di Venezia!”.

*****

Ulteriori informazioni sul libro nella sezione dedicata cliccando sulla copertina sotto.