IL TURISTA – Museo dell’Annunciazione

“Che hai?”
“Niente… pensavo.”
“Se non ti va di venire vado da solo, un’altra volta…”
“No, ti ho detto che voglio vederli i quadri che dici, e ormai siamo arrivati… è che ogni tanto, quando il negozio mi dà tempo, penso a quello che ti è accaduto a Venezia, all’invito alla festa esclusiva…”
“E?”
“Niente… pensavo… di nuovo.”

Arriviamo al piccolo parcheggio del Museo dell’Annunciazione, c’è solo la nostra macchina. Mi fermo vicino al portone della vecchia chiesa, l’auto si spegne da sola. Mi slaccio la cintura e mi giro di fianco verso mia moglie.

“Regina. Sei strana!”
Sorride, accavalla una gamba sull’altra, facendola dondolare, guarda fuori col suo modo di fare un po’ altezzoso da gran dama di città.

“Sicuro che sia un museo d’arte moderna?”, senza girarsi.
“Sì, ho anche prenotato la visita.”
“Prenotata?”
“Penso sia venuto qualcuno ad aprirci la chiesa.”
“Non è un museo allora?”
“Sì e no, è una chiesa comperata anni fa da un grosso imprenditore, anche lui innamorato di Venezia, che ha deciso di sistemarla e d’esporci pitture d’arte moderna.”
“Tipo biennale? Non ci saranno mica cose sconce o sozze, vero?”
“Ma figurati!”

Apro la mia porta per scendere, bloccando subito le altre. Regina fa per uscire, ma non riesce, corro in suo soccorso con un inchino.

“Mia Regina!”

Sorride, come fosse una concessione ai sudditi.

Per questo suo modo di fare un po’ snob, aristocratico, (di città si diceva da noi), Regina s’è tirata addosso un sacco di corteggiatori, alcuni ci hanno perso la testa, anche in modo esagerato.

Non che sia bellissima, anzi, però piace, ammaglia. Io, fortunatamente, ne sono immune.

Sono stato con ragazze più belle e forse ancor più brillanti di lei, ed è forse questo mio minor coinvolgimento a salvarmi. Semplicemente le voglio bene e sinceramente non mi capacito di come alcuni ragazzi in gamba, uno di questi lo conoscevo bene, abbiano potuto impazzire al suo rifiuto.

All’inizio della nostra relazione, l’unica cosa che mi spaventava di lei, era la possibilità che qualche suo ex o spasimante deluso, potesse saltar fuori da un vicolo buio per darci una coltellata…

“Ora sei te… strano.”
“Pensavo.”
“Sì? A cosa?”
“A te!”
“Ma va là!”
“Sì, davvero. Sembra che piaci così tanto…”
“Grazie tante, per fortuna che m’hai sposata!”
“No, non fraintendermi. Intendo che fai girar la testa.”
“Lo so, e lo sai perché?”
Faccio spallucce mentre ci incamminiamo verso la porta:
“Perché vali e ti vesti provocante ma costoso.”
Lei sorride; “Ruffiano! È perché non mi sono mai concessa… cos’è che scriveva Shakespeare in Troilo e Cressida?”
La guardo scrollando le spalle di nuovo.

“Quando son corteggiate le donne paiono angeli, ma una volta conquistate non son più nulla. L’anima del piacere sta nel perseguirlo. Se una donna amata non sa questo, vuol dire che non sa nulla!”

“Ma non è una tragedia scusa? Ed io, che fine faccio?”
“Te sei stato l’unico a non starmi col fiato sul collo, appiccicato, anzi, se non ti stavo sotto io un pochino… invece gli altri, che palle! Che mammolette miseria! Mica solo i ragazzi si vogliono divertire! Sbaglio?” Poi, scuote la testa: “Pere cotte!”

Sorrido, mentre l’osservo girata a contemplare la nostra, (sua), bellissima automobile, costataci mezzo appartamentino.

[Regina! Ecco cosa trasforma una ragazza in femme fatale; l’incapacità di provare amore per le persone giuste, magari senza rendersene conto].

Faccio per spingere il vecchio portone di legno quando mi prende con forza alle spalle facendomi girare a sé. Mi bacia stringendomi forte con la gamba. Mi eccito un pochino. Divertita si scosta, sfiorandomi con l’indice la punta del naso. “Ti va?”
“Qui? Adesso?!”

Regina scoppia a ridere: “Ma dai? Che diamine hai capito? Stasera no?! Magari dopo una bella doccia, freschi e puliti tra le lenzuola nuove.”

Annuisco distrattamente; nonostante gli sforzi di Regina, il mio interesse in questo momento è tutto rivolto ai quadri presenti nel museo. Spingo la porta ed entriamo.

Appena varcato il portale, dopo alcuni passi al buio, veniamo abbagliati da una tavola enorme irradiante dei colori fortissimi. Sorpresi e senza fiato ci guardiamo negli occhi sbalorditi.

“Mamma mia!”, esclama Regina.
“Ah bene. Meno male! Sono riuscito a stupirti.”
“Onestamente… è impressionante!”
“Sì… e decisamente strano, è un Angelo Annunciante, vedi come sta messo? Guarda la mano.”
“Già, sembra che esca fuori… [a me sembra che benedica].”

Regina fa due passi indietro: “È strano sì; sembra grasso, in taglia, ma è come se si librasse, se scivolasse sul pavimento.”
“Vero, e guarda il volto; inumano ma espressivo, quasi asessuato ma così… comune, non trovi?”

Regina sorride: “Tanto strano, tutto il quadro, le ali, i capelli… ti credo che hanno dovuto metterlo in un museo privato; in quale chiesa l’avrebbero accettato un quadro cosi?”
“Ho visto di peggio sopra certi altari, fidati!”

Girando per lo spazio della ex chiesa a navata unica, veniamo attratti da un quadro simile, enorme, questa volta non c’è solo l’angelo ma tutta la rappresentazione dell’annunciazione, alla maniera tosco-romana del ‘400, ma con quel qualcosa in più che viene dalla laguna, sì, da una Venezia antica, forse ancor prima del gotico.

Mi avvicino di pochi passi e s’illumina come l’altro. Regina mi segue.
“Beh, decisamente impattante, uomo!”
“Già; Venezia non è solo a Venezia.”

Le prendo la mano emozionato; “Mi fa piacere d’averti portato qui, adoro vederti coinvolta.”
“Che ne dici? È lo stesso pittore dell’angelo?”
“Sì, penso la stessa mano, sempre un po’ naif… ma c’è anche dell’altro… non si capisce. Le figure sono così aliene, ma così vicine a noi… umani.”
“Naif dici? I colori li sapeva usare. Sai chi è l’artista?”
“No, sono una donazione anonima, probabilmente eseguiti a cavallo del secolo, ma ho letto su un blog abbastanza datato che probabilmente li ha fatti l’imprenditore stesso che ha voluto la chiesetta come museo.”

Regina si sposta verso la parete dietro all’enorme pannello, forse di cemento armato e non legno. “Ah! Ma qui ci sono degli affreschi, anche!”
La seguo; “Sì, brava, ma sono originali, antichissimi, forse giotteschi.”
“Ma che belli… Aspetta, c’è un’etichetta: ”Restauro eseguito dai laboratori AKINOM”, non dice altro.
“Sì, sono molto belli, di buona mano… fin troppa.”
“Dici che siano falsi?”
“No, dico che li ha fatti qualcuno che di pittura se ne intendeva… anche se seicento anni fa.”
“Non ti capisco, spiegami meglio.”
“Ti ricordi tanti anni fa al Duomo di Montagnana…”
“Sì, indovinasti che gli affreschi erano fatti da un grande maestro.”
“Esatto, vedi: anche qui non c’è un disegno riempito da colore, per fartela semplice… o no?”
“Sì, ma quelli di Montagnana me ne potevo accorgermene anch’io che erano fatti da un out-sider…” [Adesso, uomo: non è che sei diventato anche un critico d’arte!]

La guardo divertito in attesa continui.
“…intendo dire che alla fine si sono rivelati per quello che erano, ossia opere di Giorgione… voglio dire, una volta capito che una cosa è originale ed ha valore, non serve poi una scienza per capirne la qualità e la mano, o no?”

Ecco cosa mi piace di questa donna; la capacità critica di metter parola su qualcosa che magari non le compete, riuscendoti a farti vacillare. La osservo con un certo interesse, mentre gira affascinata tra le enormi pale di cemento.

“Che dici Regina, torniamo a casa?”
“Sei sicuro? Così presto?”
“Certo… sai,  pensavo a quella doccia.”
“Guido io!”, esclama entusiasta mentre mi leva le chiavi di mano.

D’istinto abbasso lo sguardo per vedere se ha le scarpe adatte… che scemo! Solo ora mi rendo conto di non aver badato a come si è vestita questa stamattina. Chissà se è questo mio distacco a salvarmi dalla sua forza ammaliatrice?

Mette in moto premendo il pulsante.
Fa per accelerare ma si ferma, alza le gambe ed appoggia i piedi sopra le mie ginocchia. Mi guarda per qualche secondo, poi scuote la testa, sconfortata.
“Lascia stare va’, che m’arrangio!”

Sposta il sedile indietro, si piega, si slaccia le scarpe e le leva buttandole sul sedile posteriore, ripartiamo veloci.