Le mie letture su Venezia di marzo

Du ciacole (due chiacchiere) sui libri appena letti.

Le “recensioni sui generis” le dedico ai libri che considero assoluti e che leggo più volte.
Però ho pensato che fosse divertente (per me) e magari utile (per voi) scrivere due righe sui libri che leggo su Venezia; circa uno a settimana.


Eloisa e il Bellini di Arrigo Cipriani edito da Longanesi (1986)

Romanzo originale, scritto con cura. Bella la storia d’amore esposta in modo semplice. Anche la modalità di narrazione è originale, con delle lettere a un amico di intermezzo tra i capitoli, ma si segue benissimo.
Fa molto piacere scoprire qualche frammento dell’incredibile storia dell’Harry’s Bar e di una Venezia d’altri tempi.
Non sto a dirvi che parliamo di uno dei bar, ora catene, più rinomati del pianeta e che a Venezia spesso vi ci si sbronzavano (ma con classe) grandi scrittori, artisti e registi. Gli amanti della città magica devono assolutamente sapere cosa rappresenta l’Harry’s Bar, anche se come me non ci sono mai stati. Io non ci vado non solo perché le mie tasche non me lo consentono, (una volta nella vita si può anche fare), ma per un gesto scaramantico finché sarò un imbrattacarte. Un po’ come non accedere in certi luoghi prima di laurearsi; a Padova era il Santo.
Due paginette abbastanza erotiche completano la discussione per chi apprezza il genere. A vederlo ora in qualche talk di prima serata, elegante e composto… chi l’avrebbe detto.

 

Ombra di Gianni Riotta

La mia stampa è del Consorzio Venezia Nuova, anno 1994, ma ho visto che ora è pubblicato da Rizzoli.

Fine gennaio, ritornato a casa dopo aver incontrato il mio pusher di libri su Venezia, (questi occhi hanno letto cose che voi umani…) al computer ho confermato che si tratta di Gianni Riotta il giornalista che vediamo spesso in TV collegato dall’America, mi pare che sia stato anche direttore da più parti.
Che strano vero? Il dottor Riotta ha scritto un romanzo su Venezia. (Ma che c’azzecca? Beh, anch’io non sono veneziano del resto). E devo dire un libro abbastanza curioso.
L’ha fatto in modo semplice, senza fronzoli letterari e paroloni, come piace a me, (master Columbia University gente; poteva benissimo permetterseli), e lavorando bene su alcuni personaggi, di cui un posto di rilievo è occupato dalle pantegane presenti ovunque. In cuor mio speravo fossero loro a salvare Venezia dalle grinfie degli speculatori internazionali.
A tal proposito replico a una lettrice del libro che, divertita, sostiene di non averne mai viste (nemmeno l’ombra)… ci sono, ci sono. Fidati! È che anche loro, come i pochi veneziani rimasti, s’erano adattate per sfuggire alla mandria martellante le calli ormai bollenti anche d’inverno, i mesi più cari ai romantici solitari. Di notte, o anche di giorno, in certi rii isolati… certe zoccole!
Una storia di fantasia che cerca di tenere il lettore sul tema caro, a molti pensatori, del turismo di massa (che strano parlarne dopo un anno di deserto covid) e sulla speculazione volta a trasformare “la nostra” in un parco divertimenti a tema.
Bella l’appendice “L’occhio d’Acqua” con foto in b/n su carta patinata di Luca Trovato. Non so dirvi se è presente anche nell’edizione in commercio.

 

L’apprendista di Venezia di Elle Newmark

Dico subito che no, non è un romanzo storico.
Ben scritto, magari un po’ meno descrizioni per rendere più fluida la lettura.
Di diverso da altri troviamo una trama che ruota attorno al mondo dell’alta cucina del primo ’500, ma non essendo storico, secondo me, risulta difficile capire dove si colloca la linea di confine tra rigoroso studio documentale e fantasia.

Un consiglio da buon lettore, rivolto in particolar modo agli scrittori anglosassoni dei tempi nostri. (E non ce l’ho per nulla con l’autrice o con la bravissima traduttrice).
La Venezia che voi autori spesso descrivete, probabilmente in parte frutto dell’odiosa campagna giacobina che contribuì a porre fine al Mito di Venezia – The Myth of Venice – in parte per fini commerciali, non ha molto a che vedere con la realtà.
L’elezione del doge non era un patto tra criminali diabolici con le mani insanguinate da vergini sgozzate. Il Maggior Consiglio o i Dieci, non facevano ammazzare innocenti giusto per divertirsi.
La Venezia di allora, vista in termini relativi, ci mancherebbe, era una delle metropoli del pianeta più attraenti: l’ombelico del mondo, dove arrivavano genti da tutte le parti, per imparare, commerciare o lavorarci. E se poi ci rimaneva, e con loro i figli, e poi i figli dei figli, basta leggere i nomi sui campanelli ancora oggi, forse un motivo c’era, che dite?

Quando la Serenissima bandiva un concorso per grandi opere o per insegnare a Padova, spesso vi partecipavano menti da tutta Europa, senza la paura di finire torturati nelle tanto, da voi amate, segrete sotterranee.
La stampa di libri, di cui Venezia era una capitale, era pressoché libera da censura grazie a stratagemmi usati dagli editori ma tuttavia ben conosciuti (e permessi) dalle autorità.
Ma secondo voi, dove fu inventato il libro come lo conosciamo tutti? (Visto che nelle trame si parla spesso di libri e di sapere).
Galileo Galilei, dove riuscì (osò!) pubblicare il suo Sidereus Nuncius?
Parliamo di Palo Sarpi? Di Venezia e la lotta contro la Chiesa per il dominio sul potere temporale?

Quindi, cari scrittori, se avete le pretese di scrivere un romanzo storico, cosa a mio avviso di-ffi-ci-li-ssi-ma, in particolar modo sulla capitale di un impero abbastanza insolita, documentatevi un po’ meglio sugli organi del potere veneziano, sulla sua loro elezione e tutto il resto su cui sono state scritte, nei secoli, foreste di cellulosa.
La vita era dura? Specie per i poveracci?
Certo, lo sappiamo tutti. Lo è anche adesso.

***

“è Bergamo quel paese?”
“La città di Bergamo,” rispose il pescatore.
“E quella riva lì. È bergamasca?”
“Terra di san Marco.”
“Viva san Marco!” esclamò Renzo.

I Promessi Sposi, di Alessandro Manzoni